STOP, SINE DIE

stopIL CALCIO AI TEMPI DEL CORONA VIRUS

Siamo in balia degli eventi. Non ci sono certezze. Non sappiamo quando, questa emergenza, avrà fine. Perché di emergenza si sta parlando, forse tardivamente e con toni ormai di allarmismo puro. Non abbiamo la certezza del fatto che ci potrà essere una fine. Le nostre speranze, per fortuna, sono in mano alla scienza e alla ricerca che, per nostra grandissima fortuna, ha delle vere eccellenze sul nostro territorio italiano. Se i nostri ricercatori riusciranno a trovare “l’antidoto” a questo maleficio, allora, forse, saremo salvi.

Il corona virus è un maledetto ospite inatteso. Perché colonizza tutto ciò che gli si pone innanzi, con una velocità disarmante. Con una facilità, anche, disarmante. La varietà dei suoi effetti, un ventaglio molto ampio di sintomi diversi e intensi a seconda del tipo di target colpito, lo fanno diventare molto pericoloso. Pericoloso perché, nella malaugurata ipotesi che riesca ad infettare gran parte della popolazione, anche solo della nostra Italia, ci troveremmo con strutture sanitarie al collasso ed impossibilitate ad ospitare i malati, che nei casi più gravi, richiedono nella cura l’ausilio della strumentazione della terapia intensiva.

Di conseguenza è assolutamente normale che il primo obiettivo  sia quello di provare ad arginare l’inevitabile  espansione del virus per evitare che il contagio si espanda in modo incontrollato e vada a colpire tutti indistintamente. Perché questo, probabilmente, è il nocciolo del problema. Non sappiamo se, nonostante misure di contenimento, riusciremo a contenere l’espandersi del virus.

Abbiamo come termine di paragone il caso Cina. Nonostante misure molto rigide, nemmeno il governo cinese è riuscito ad arginare il diffondersi dei patogeni e, ora che le maglie dell’emergenza si stanno allargando, siamo tutti in attesa di vedere cosa succederà.

Il virus, nella gran parte dei casi, si manifesta con sintomi che vengono identificati a carico dell’apparato respiratorio. Si passa dal banale raffreddore a febbre e problemi respiratori più gravi, quelli che, appunto, richiedono l’ausilio di strutture specializzate che, nel caso del contagio massivo, sarebbero assolutamente insufficienti. A differenza di una banale influenza, per la quale abbiamo sviluppato nel tempo una immunità di gruppo, per la quale abbiamo la possibilità di ricorrere a vaccini, con la quale, fondamentalmente, la maggior parte di noi convive senza grandi traumi, questo Covid19 corre libero senza ostacoli, senza marcature, senza avversari in grado di fermarlo. O almeno non ancora.

La similitudine è calcistica, volutamente. Perché con un Paese già in ginocchio dopo poche settimane, l’italiano pensa al Dio pallone. E lo faccio anche io, è normale. Siamo tutti in attesa di nuove disposizioni che ci diano delle regole chiare da seguire, alle quali ci dovremmo adeguare. Ma come affronta una piccola società di calcio, che non ha voce in capitolo nel mondo dei massimi poteri del business legato al calcio, tutta questa situazione?

Si ascolta, si legge, si cerca di interpretare, fin qui, delle norme approssimative. Troppo. Divieti sparsi nel territorio italiano a macchia di leopardo. Lombardia e Piemonte sono la zona rossa da evitare. Abbiamo assistito impotenti, anche qui, alla corsa al carrello del supermercato per fare incetta di provviste. La paura. La paura dell’ignoto, il provocato allarme dettato da strategie comunicative da asilo nido, le immagini persistenti nei salotti della televisione, anche di Stato, che mostravano la corsa all’accaparrarsi le derrate alimentari. Scene da allarme atomico.

In tutto questo, chi come noi, oltre alla responsabilità della salute personale, ha la responsabilità di organizzare e indirizzare altre persone, si trova nel marasma dell’interpretazione di ordinanze, decreti, direttive. Insomma, un gran caos!

Se ci sono delle regole, vanno rispettate, anche se non se ne capisce la ragione. Dovrebbe essere questo il modus operandi di una società eticamente responsabile.

Ora l’ultima versione del Decreto, quella “sfuggita non si sa come” dai tavoli del Governo, ha creato una situazione paradossale. L’esodo da nord a sud di persone impaurite, che però non sanno che stanno mettendo a rischio la loro terra, i loro cari, la sanità già zoppicante delle zone del Sud.

Siamo ormai in balìa degli eventi. Il grave problema è che non sappiamo se, non sappiamo quando, non sappiamo come la nostra vita riprenderà. E a cosa si dà importanza?

Al calcio! Io sono una donna di calcio, è la mia più grande passione, è parte della mia attività lavorativa, ma ho un cervello, santo cielo, che per fortuna è in grado di pensare e anche bene, talvolta.

In questi giorni i nostri Presidenti, quelli del cosiddetto calcio minore, si trovano di fronte a mille problematiche che, in autonomia non possono risolvere. Ora anche noi qui in Piemonte, nel VCO, siamo etichettati come zona rossa. Eppure, nonostante una serie di divieti e norme, non entra proprio nella testa delle persone che bisogna avere a cuore la salute nostra e del prossimo, che bisogna tutelare la salute dei nostri atleti, non i loro risultati. Che bisogna ridimensionarsi, anche. E in queste situazioni il nostro essere dilettanti, è talmente evidente che ci lascia di stucco. Ora tutto è fermo in attesa di una riunione di Lega, che si svolgerà a breve per i Dilettanti e che sarà domani per i professionisti. Bene.

Ma da alcune chiacchierate, emerge che anche i politici del pallone, non riescono a riflettere svestendosi del loro ruolo, dei loro regolamenti, dei limiti imposti ad una stagione in corso che potrebbe (e non è così utopistico pensarlo) non finire mai. In più, con il nostro egoismo irresponsabile, mettiamo in crisi potenzialmente un sistema sanitario già al collasso. Perché, se anche un giorno si dovesse riprendere, come potremmo noi chiedere un medico che possa assisterci durante le nostre attività?Con che responsabilità? Con che dispositivi? Con quali certezze oltre all’attimo in cui misurerebbe la febbre?

Siamo alla follia. Non è accettabile una situazione del genere. Perché, o ci stanno prendendo in giro, e allora questa favola presto avrà un lieto fine, oppure se la situazione è così grave come nemmeno ce la raccontano, le nostre priorità devono farci agire per il bene della nostra “famiglia”. Come un buon padre e una buona madre, farebbero con i loro figli.

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